Show, don’t tell

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Una delle prime regole che mi sono scritta sul pezzo di carta che pende dalla bacheca sopra il computer è questa: show, don’t tell.

Mostra (al lettore), non descriverglielo.

Ora non so voi, ma per me è una delle regole che trovo più ostiche da mettere in pratica. Sarebbe fantastico se avessi qualcuno esperto che potesse dirmi dove e quando rimpiazzare le descrizioni con le sensazioni, ma non ce l’ho, quindi lavoro il doppio e sudo il triplo per arrivarci da sola, per lo meno fino a che la storia non è stata scritta tutta.

Correggetemi se sbaglio: lo show, don’t tell è praticamente un divieto. Ad esempio, non diciamo che il panino è buono, diciamo che il personaggio se lo gusta boccone per boccone, in estasi. Non diciamo che l’aria è bollente, diciamo che si fatica a respirare. E così via. Facile da dire a parole, un po’ meno da applicare costantemente sulle n+1 pagine di un romanzo…

Il mondo letterario su questo topic sembra dividersi. Io penso che il giusto stia nel mezzo. Un po’ e un po’, tanto per non rendere il capitolo un mattone indigeribile, ma neppure qualcosa che faccia lavorare di sensi e basta. Durante la revisione a cui sto lavorando al momento, e specie durante la riscrittura del protagonista, cambio le descrizioni ogni volta che mi pare appropriato farlo.

Non dirmi che la luna brillava in cielo, fammi vedere lo scintillio dei suoi raggi su un pezzo di vetro.

Personalmente, non riesco a reggere un libro intero privo di descrizioni e che faccia lavorare continuamente il cervello per dedurre, capire e immaginare dove sono i personaggi o cosa stanno provando, ma questi sono solo i miei gusti personali.

Certo non è neppure possibile ritrovarsi davanti ad una pagina intera piena di descrizioni, perché quello annichilisce la lettura in un altro senso. Una volta sono riuscita a riempire una pagina in A4 – carattere 12, interlinea 0.5 – con la descrizione di una singola stanza. Una cosa folle. Capisco che ogni dettaglio sia essenziale, per chi lo ha partorito, ma c’è un limite.

Una descrizione minuziosa, costante e dettagliata di un ambiente o di una situazione toglie qualunque spazio all’immaginazione e, forse, il gusto stesso della lettura. Mi è capitato spesso di saltare blocchi interi di pagine, riprendendo la storia quando l’autore si era finalmente deciso di smetterla con i dettagli e di far ripartire la narrazione. Mi viene in mente Inferno di Dan Brown, ma ce ne sono stati molti altri.

E voi? Siete più proni alle descrizioni o a lasciare spazio alla fantasia di chi legge? Qualunque suggerimento in merito sarà più che benvenuto: in fondo, sono ancora working in progress!

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11 pensieri su “Show, don’t tell

  1. “Una descrizione minuziosa, costante e dettagliata di un ambiente o di una situazione toglie qualunque spazio all’immaginazione ”
    Sapessi quanti autori famosi, che pure amo, ho lasciato a metà proprio perché non reggevo le descrizioni minuziose, per giunta riprese, trite e ritrite! Recentemente stavo leggendo “I cani e i lupi” di Irene Nemirosky, ma..era talmente tanto minuziosa la descrizione dei personaggi, sì soprattutto di questi, dettagliate persino nel ricciolo della pettinatura, che …Uffa, mi sono detta, non la reggo, non la reggo questa storia!
    Così ho ripreso in mano un libro di forse nove anni fa “Aracoeli” di Elsa Morante: le prime 50 pagine mi hanno riportata alla bellezza e sensualità della scrittura di questa grande; poi sono cominciate, sempre in modo egregio, le descrizioni, i rimandi il ritorno al passato mentre era in corso la narrazione del presente; e poi ancora dettagli, minuzie, interessanti certo ma ho cominciato a sentirmi fortemente stressata, l.e.t.t.e.r.a.l.m.e.n.t.e!
    Il mio parere è che bisogna dare alla narrazione un taglio snello, senza rinunciare alla descrizione di ciò che ci sembra veramente essenziale allo svolgimento della storia: la scrittura per me deve essere asciutta e subito in media res, con quel tocco di flauto qua e là che la rende intensa e coinvolgente. Il resto lo fa il lettore che dilaterà il mondo raccontato infilandocisi dentro e andando a ricreare le atmosfere sfiorate, le frasi accennate, riuscendo a fare (anche) “sua” la storia letta.
    Devo dire però che due autrici non mi stancano mai: Marguerite Yourcenar e, tra i contemporanei, Dacia Maraini (leggere “La Lunga vita di Marianna Ucria” è stato un vero intenso piacere.)

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    1. Non ho mai capito per quale motivo a certi autori consentano di conservare le descrizioni così come sono, senza neppure provare a ridurle un minimo. A volte è davvero palese come queste siano il risultato di un mancato editing, piuttosto che di un volere di conservazione ai fini del mantenimento dell’armonia della prosa originaria. Il risultato, comunque, è sempre lo stesso: pure quando ben bilanciata, una descrizione troppo lunga stanca. Per tutta la sua durata la storia non va avanti, si congela in attesa che noi assimiliamo quei dettagli – sfiancandoci. Mi torna in mente Anna Karenina, che non sono mai riuscita a finire pur essendo sicura che sia un capolavoro. Un giorno ci riproverò. Forse.

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      1. Che dire, forse il mancato editing è richiesto proprio dall’autore famoso, verso il quale l’editore si pone come Fracchia nei confronti del suo datore di lavoro 😉 Considerati i guadagni che porterà nelle sue casse, l’ editore sorvola anche sugli “orrori” lessicali e grammaticali.

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  2. Non ho riletto prima di inviare, ci sono errori: il primo “talmente tanto” ; il secondo “dettagliate” invece di dettagliata; il terzo “mi hanno riportata” invece di “mi hanno riportato”.
    Purtroppo ho il vizio di non rileggere. 🙂

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    1. Si, avevo notato, infatti, come Hemingway, più di tutti gli altri, avesse fatto di questo argomento in particolare un po’ la sua crociata personale.
      Dovrò mettermici seriamente e con calma, come hai detto tu è… puntiglioso.

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  3. Il tutto dev’essere subalterno alla storia, a quel che vuoi evocare. Se una descrizione serve perchè mi cala in un contesto ben preciso, ben venga. C’è gente che si arrovella e si riempie la bocca del “show don’t tell” ma non credo che si debba esserne schiavi. E’ sempre una questione di contesto. Come mito della narrativa contemporanea, tendo sempre a non santificarlo, al pari della terza persona ristretta, ma questa è un’altra storia…

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    1. La mia filosofia e’ simile. Butto giu’ cosi’ come viene, rileggo e, se mi risulta corretto, lo mantengo. A volte in un capitolo ci sono solo descrizioni, altre le due tecniche sono mescolate. Credo siano entrambe corrette, e che dipenda anche dal tono e dal tipo di narrazione portati avanti in quel momento.

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